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Un luogo neutro / A neutral place

 

Un luogo neutro A neutral place

Come rendere l’immagine di queste citta’,
senza piccioni, senza alberi e senza giardini,
dove non si incontrano
né battiti d’ali, né fruscii di foglie,
un luogo neutro insomma?

How to conjure up a picture, for instance,
of a town without pigeons, without any trees or gardens,
where you never hear the beat of wings
or the rustle of leaves,
a thoroughly neutral place, in short?

                                                                                                     Albert Camus

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Cristina Tafuri   Un luogo neutro  A neutral place

Storicamente chiusa nella specificità del proprio linguaggio, inteso come attestazione, certificazione di veridicità del reale, tanto caro al dogma dell’attimo fuggente di Cartier- Bresson, la fotografia, così intesa, per anni, ha dato l’idea di essere una forma d’arte precaria e fortemente instabile, se pensata esclusivamente alla sua autoreferenzialità. Ma da molto tempo quell’attimo fuggente, quel momento decisivo, non è più stabilito in relazione ad un evento teso a rappresentare veridicità, bensì rappresenta il momento in cui quel flusso di forme e di schemi in evoluzione davanti al fotografo raggiungono il punto di equilibrio, una loro nitidezza, un loro ordine. E questo punto di equilibrio si avverte nell’ultimo lavoro di Franco Sortini. In queste fotografie che Sortini ha definito “le sue passeggiate”, non c’è un racconto fotografico, ma è una sorta di attraversamento in cui la fotografia pone una serie di domande sull’identità di un luogo e anche sull’aspetto emozionale di essere in un luogo. Le immagini, infatti, di queste città sono, per alcuni aspetti, volutamente complicate perché manca la riconoscibilità del luogo. Infatti la città vista dall’alto rivela i suoi lineamenti fondamentali in rapporto al territorio, la sua struttura, i suoi punti focali. L’immagine dall’alto della città murata era facilmente leggibile: la cerchia di mura delimitava nettamente il confine verso la campagna, il tessuto urbano era omogeneo, con pochi fuochi chiaramente individuabili, chiesa, municipio, piazza del mercato. L’immagine delle nostre città attuali è molto più complessa e confusa. Le funzioni delle sue parti e dei suoi edifici raramente sono individuabili, attraverso le loro qualità spaziali. Oggi siamo strangolati e soffocati da una attività progettistica che ci ha circondato di metropoli antropofaghe, di squallide cittadine improntate a una mancanza d’ordine, di campagne mortificate lungo le ferrovie e le autostrade, costellate di meschine costruzioni puramente utilitarie, ombreggiate da pali della luce e appestate di esalazioni di benzina. Eppure l’occhio attento del fotografo è riuscito, attraverso alcuni dettagli architettonici, a farci capire come questi rispecchiano quasi sempre l’ordinamento politico e le leggi che nei vari periodi hanno informato le città; la sua rigidezza, la maggiore libertà e talora persino l’irregolarità e il disordine manifestato sono indice di una più stretta disciplina gerarchica o di una più larga libertà delle popolazioni. Proprio perché la fotografia assurge a territorio privilegiato dell’analisi del reale, secondo parametri individuali che tendono a isolarne un singolo aspetto per ampliarne al massimo il potere evocativo. Come Cezanne quando dipinse il “traforo”, oggi alla Neue Staatsgalerie di Monaco , non fu certo guidato nella scelta del soggetto da particolari attrattive di questo spoglio pezzo di campagna con la casa su un rialto, la montagna nello sfondo e l’imbocco del tunnel al centro. Il luogo suggerì soltanto alcuni motivi di forma, che egli poi realizzò in modo tutto personale con quella sua pennellata densa, che dà spessore ai piani di colore e identifica pertanto il volume con la stesura cromatica, mentre lo spazio si realizza anch’esso attraverso scalature di volumi. Così come nelle foto di Sortini davanti ad un luogo non passivamente osservato, ma “ripreso” non per qualche insita bellezza ma perché si presta a essere interpretato come massa di volumi, ombre e luce. Ed in queste foto l’unica tensione che si avverte è tra la materia e la luce. In effetti, come suggerisce Jean-Claude Lemagny, la fotografia è proprio l’arte dove questi due aspetti del reale si manifestano, non più per imitazione o finzione, ma in diretta, per contatto. Un paesaggio, una veduta qualsiasi, infatti, non esiste al di fuori dell’occhio di chi lo guarda, che è il nostro occhio stesso che dà un significato alle cose guardate, che ciascuno di noi del resto vede diversamente dagli altri. E le città che ha fotografato Sortini, grazie alla luce che le inonda, dovuta naturalmente alla grande capacità ed esperienza dell’artista, non sembrano più “ammassamenti innaturali”, ma appaiono più libere, più aperte, proprio perché la materia vuole durare e la luce vuole salvarsi.

Photography has been enclosed, historically within the specificity of its own language, understood as the affirmation, the certification of the truth of reality, so dear to Cartier-Bresson's dogma of the fleeting moment. This idea of photography, if thought exclusively of its self-referentiality is an extremely precarious and unstable form of art. But now that fleeting moment, that decisive moment, is no longer determined in relation to an event that tends to represent veracity, but rather it represents the time at which the flow of shapes and patterns that evolve in front of the photographer reach their balance, their sharpness, their sense of order. And Franco Sortini's latest work reflects this balance. In these photographs that Sortini has called "his strolls," there is a photographic story, but it is a kind of crossover in which photography asks a series of questions about the identity of a place and about the emotional aspect of being in a place. So we find that the images of these cities are, in some respects, deliberately complicated because the place isn't recognisable. In fact the birds-eye view of a city reveals its fundamental characteristics in relation to its territory, its structure, its focal points. Once upon a time the image from the above of a walled city was easily read: the city walls clearly delimited the border with respect to the country, the urban fabric was homogeneous, with few easily recognisable focal points, the church, the town hall, the market square. Today the image of our cities is much more complex and confusing. Their spatial qualities rarely define the functions of its parts and its buildings. Today we are choked and suffocated by a planning design that has surrounded us with a cannibalistic metropolis, with a squalid city that lacks a sense of order, with a sad countryside that coasts the edges of our rail roads and highways, dotted with petty, purely utilitarian, buildings, sparsely shaded by lamp posts and polluted by petrol fumes. Yet the photographer's watchful eye has managed, by enhancing certain architectural details, to make us understand how these almost always reflect the political order and the laws in the various periods that have given rise to the city; its rigidity, the greater freedom and sometimes even the irregularity and obvious lack of order give us a clue to the people's submission to a hierarchical discipline or to the enjoyment of broad liberties. And it is because photography becomes the privileged territory of the analysis of what is real, according to individual parameters that tend to isolate a single detail to enhance to the utmost its evocative power. Like Cezanne when he painted the "Railway Cutting", which we can find in Munich's Neue Staatsgalerie: he wasn't guided in the choice of the subject by any form of special attraction to this barren piece of countryside with a house on a knoll, a mountain in the background and the railway cutting in the centre. The place only suggested to him some sensations of form, which he then brought to light in a very personal way with his thick brushstrokes, which give depth to the planes of colour and therefore volume is identified with the application of colour, whilst space is embodied through the scaling of volumes. In the same manner in Sortini's photographs we behold a place which has not been passively observed, but rather has been "shot" not because of any inherent beauty but because it lends itself to be interpreted as a mass of volumes, of shadows and of light. And in these photos the only tension that you perceive is that between matter and light. In fact, as suggested by Jean-Claude Lemagny, photography is the form of art where these two aspects of reality occur, not for the sake of imitation or fiction, but directly, through contact. A landscape, any view, in fact, does not exist outside of the eye of the beholder, which is our own eye that gives meaning to the things we look at, that each of us sees unlike anybody else. And the cities that Sortini has photographed, thanks to the light that floods them, due of course to the artist's great skill and experience, no longer seem "unnatural piles of things", but appear freer, more open, because the material form wants to last and the light wants to save itself.

  

Massimo Bignardi   Luoghi e prospettive di città   Places and perspectives of cities

Penso che sullo sfondo di questa antologia, con la quale Franco Sortini ha riordinato gli “scatti” realizzati negli ultimi viaggi, si possa scorgere il tratto del disegno che tiene insieme e nomina le architetture della Città ideale, la quattrocentesca tavola del Palazzo Ducale di Urbino. Non lo è tanto per gli aspetti formali, in pratica per l’artificio costruttivo dell’uomo che intrattiene un dialogo con la natura. Il riferimento è quegli squarci che lasciano filtrare in avanti angoli di giardini dal fondo o brani di verde a mo’ di cornice nella quale è inscritta la città ‘costruita’, la stessa sulla quale si sporge una terrazza giardino. Il confronto del resto non regge nemmeno con le sue atmosfere, ovvero lo svuotare i luoghi dalla presenza di figure umane, lasciando di esse, però, i segni del loro abitare e vivere la città. Ciò anche se, va rilevato, le inquadrature fermate dalla fotografia iterano una particolare scrittura della città, palese nelle prospettive delle sue architetture, nelle quali lo sguardo dell’artista orienta l’attenzione, ripercorrendone l’organizzazione, il lineare disegno della scatola prospettica, in sostanza il volto dell’urbs quale progetto e realtà sociale. È un dato che traspare finanche nella scelta di accogliere nell’inquadratura, la presenza di scritte murarie, di cantieri in corso, di ordinate sedute di un bar in attesa del nuovo giorno, fino all’insistente solitudine di strade assolate, com’è per la metafisica inquadratura della periferia della vecchia Taranto o della Berlino contemporanea. Va detto anche, continuando a far correre il confronto con la tavola urbinate, che di quel vaso, raffigurato sul davanzale di una delle tante finestre allineate sulla destra dell’architettura quattrocentesca, Sortini ha tratto il senso metaforico della città abitata, cioè l’idea di comunità, lasciando nei registri di nuove e vecchie città, il respiro della vita testimoniato dagli oggetti della quotidianità. Sortini ha lavorato, negli ultimi quattro anni, muovendo dalla consapevolezza che l’immagine fotografica è soprattutto narrazione. Questa antologia è organizzata, infatti, come un racconto di viaggio che, prendendo l’avvio da Berlino nel 2012, attraversa, una dopo l’altra, diverse città del vecchio continente: sfogliando disordinatamente il taccuino del Wanderer, la traccia va da Lisbona a Zagabria, da Siviglia a Trieste, da Torino a Mantova poi, riscendendo la penisola, l’obbiettivo sosta su Siena, Capua, Napoli, Ischia, Salerno e i suoi dintorni, poi Potenza, Matera infine Taranto. Il suo è un viaggio esterno ed interno, sempre, però, condotto sul limine di un’esperienza che, rinunciando al reportage, trascrive il silenzio di realtà pervase da un tempo agonizzante che lascia poco margine alla fantasia, vale a dire a qualcosa che dovrà o potrà accadere. Un limine dal quale inquadra i luoghi narrati e che l’artista ha voluto chiamare “luogo neutro”, richiamando una definizione che Albert Camus dà della città contemporanea. Luogo neutro, è una definizione il cui aggettivo suona particolarmente dissonante se si considerano i paesaggi urbani incontrati da Sortini: sono scorci di strade ai cui lati si allineano architetture che testimoniano di una civitas, giardini i cui alberi avvolgono costruzioni, conservando il fruscio delle foglie, proprio di ogni stagione, unitamente ad inquadrature di spazi che prospettano nuovi luoghi. Ad affacciarsi poi con essi brani di decorazioni che adornano le facciate delle case e che palesano la storia e dunque l’identità propria della comunità che le abitano. Sono del parere che per “neutro” Sortini abbia voluto intendere un stato interiore, cioè una condizione del sé che è propria di chi osserva dal mirino della macchina fotografica e dà ordine al “caos”: un punto di osservazione tracciato dall’incrocio di stati emotivi ed inconsci. Lo ‘sguardo’ di Sortini, che tiene stampata nel suo registro mentale l’immagine della città ideale, si spinge, infatti, oltre l’osservazione dell’avvolgente realtà, del suo monotono tempo scandito dal susseguirsi dei piani compositivi dell’urbs contemporanea, orientando lo sguardo verso un’immagine che conserva, vivo, il valore della narrazione. È un’immagine, dunque, proiettata a recuperare, direbbe Hillman, “il luogo dallo spazio uniforme”, aggiungendo, di volta in volta alla realtà percettiva di esso, l’accorata partecipazione dei sensi, nutriti dall’aria, dall’acqua, insomma dagli elementi naturali che cifrano unicamente quel luogo. Ciò spiega la necessità di disporre la sequenza delle immagini rinunciando alla cronologia che scandisce i tempi del suo viaggio, avvicinando, per esempio, Siviglia e Trieste, due città di mare le cui inquadrature – mi riferisco alle due vedute riprese dai moli dei rispettivi porti – palesano una diversa qualità della luce e quindi anche del mare sulla cui superficie essa si riflette. Così è anche per Matera e Taranto, ove la luce zenitale organizza, in un diverso modo i piani e i volumi: la luce che invade le architetture della vecchia Taranto è decisamente meno intesa, perché più carica di vapore, rispetto a quella accecante che sbianca le case di tufo dei Sassi materani. E che dire della strada della moderna Matera posta a fianco ad una simile della novecentesca Zagabria? Entrambe le inquadrature sono sottoposte al rigore del disegno prospettico che, stando a quanto il Della Porta scriveva nei primi del XVII secolo, “contiene una potente facoltà speculativa, che si trova negli occhi e li inganna”. Lo fa traslando immagini dalla memoria, con la consapevolezza di impressionare lo spettatore “con la propria capacità di creare qualcosa che assomigli alla realtà”, accogliendo quanto scrive Nicholas Mirzoeff a proposito della prospettiva. Sortini, insomma, ha inquadrato scorci e tempi di realtà, conservando di volta in volta di ciascuna, la magia di una “figura” che lascia sedimentare nel proprio immaginario, come presenza ed assenza, per poi offrirci nuove percezioni che costruiscono, suggerisce Calvino, luoghi “della memoria e dei desideri”.

I think that on the background of this anthology, with which Franco Sortini has tidied his “shots” made in his last travels, you can see the line of the plan that holds together and appoints the architectures of the ideal City, the fifteenth-century table of the Palazzo Ducale in Urbino. It is not just to the formal aspects, but to the constructive artifice of a man who entertains a dialogue with nature. The reference is to those glimpses that allow to filter forward corners of gardens from the bottom or pieces of green as a kind of frame in which is inscribed the city "built", the same on which protrudes a roof garden. Comparison, moreover, does not stand even with its atmosphere, or the empty places without the presence of human figures while leaving, and the signs of their live in and experience the city. This should be noted, the shots stopped by photography iterate a particular design of the city, evident in the prospects of its architecture, in which the artist's gaze directs his attention, going over the organization, the linear design of the box perspective, in essence the face of urbs as project in and social reality. It 'a fact that shines through even in the choice to accept in the shot the presence of written walls, road works in progress, ordered chairs of a bar awaiting new day, until the insistent solitude of the sunny streets as it is for metaphysics framing of the suburbs of the old Taranto or contemporary Berlin. It must be said, continuing to run the comparison with the table of Urbino, that of the vase, depicted on the sill of one of the many windows lined up on the right of fifteenth century architecture, Sortini has taken the metaphorical sense of the city inhabited, that is the idea of communities, leaving in the registers of old and new city, the breath of life witnessed by the objects of everyday life. Sortini worked over the last four years, moving from awareness that the photographic image is primarily narrative. This anthology is organized, in fact, like a travel story that, taking the start from Berlin in 2012, crosses, different cities of the old continent: flipping inordinately Notebook the Wanderer Notebook, the track goes from Lisbon to Zagreb from Seville to Trieste, from Turin to Mantova then back down the peninsula, the goal of stopover Siena, Capua, Naples, Ischia, Salerno and its surroundings, then Potenza, Matera and finally Taranto. His is a journey outside and inside, always, however, conducted on the limit for an experience that, renouncing the reportage, transcribes the silence of reality pervaded by an agonizing time that leaves little to the imagination, that is something that will have or might happen. A limit that frames the places and recounted that the artist wanted to call "neutral place", recalling a definition that Albert Camus gives of the contemporary city. Neutral place, is a definition whose adjective sounds dissonant when considering urban landscapes encountered by Sortini: are glimpses of streets whose sides are lined architecture that testify to a civitas, gardens whose trees surround buildings, preserving the rustling of leaves, right of each season, along with shots of spaces that point out new places. To appear then with them pieces of decorations that adorn the facades of houses and they reveal the history and therefore the identity of the communities that live there. I think that for "neutral" Sortini wanted mean a inner state, that is a condition of the self which belongs of the observer by the viewfinder of the camera and gives order to the "chaos": an observation point traced from the crossing of emotional and unconscious state. Sortini gaze, printed in its register of mind the image of an ideal cityand extending, in fact, over the observation of reality, his monotonous time marked by a succession of plans compositional of contemporary urbs, directing his gaze to an image that preserves, alive, the value of the narrative. It is an image, then, projected to recover, Hillman would tell, "the place from space uniform," adding, from time to time to the perceptual reality of it, the deep feeling of the senses, fed on from air, water, in short by the natural elements that encrypt only that place. This explains the need for the sequence of images renouncing to the history that articulates the time of his journey, approaching, for example, Seville and Trieste, the seaside towns of whose shots - I refer to the two views taken from the piers of the respective ports - reveal a different quality of light and therefore also of the sea on the surface it is reflected. So it is also for Matera and Taranto, where the zenith light organizes, in a different way the plans and volumes: the light that invades the architecture of the old Taranto is much less intense, because more vapor charge, than blinding that the whitens tuff houses in the Sassi of Matera. And what about the way of modern Matera placed next to one of the twentieth century like Zagreb? Both shots are subjected to the rigor of perspective drawing that, according to the Della Porta wrote in the early seventeenth century, "contains a powerful speculative ability which is located in the eyes and deceives them." He does this by shifting images from memory, with the knowledge to impress the viewer "with its ability to create something that looks like the reality," writes Nicholas Mirzoeff by accepting what with regard to the prospect. Sortini, in short, has framed views and times realities, keeping time to time in each, the magic of a "picture" who leave to settle in his imagination, as a presence and an absence, and then offer new perceptions which build, Calvin suggests, places "of memory and desires."

  

Carlo Gallerati   L’obiettività non è mai assoluta    Objectivity is never absolute

La ricerca fotografica di Franco Sortini si svolge all’interno di aree urbane e suburbane d’Italia e di altri paesi europei, e si concentra con prassi metodica nell’elaborazione di vedute oggettive degli agglomerati e delle infrastrutture che ne qualificano gli aspetti e i meccanismi. Edifici, strade, impianti, cantieri; luoghi da abitare, percorrere, utilizzare, restaurare: nelle zone tipiche e non imitabili di singoli centri storici, ma anche in quelle tendenzialmente asettiche e standardizzate delle periferie, dove a determinare il paesaggio sono perlopiù elementi effimeri e globalmente adottati sulla base di moduli uniformi. Eppure l’obiettività non è mai assoluta: la decisione su cosa e come vedere e far vedere è per ogni scatto il risultato di un accurato ragionamento personale; alcuni tratti procedurali, così come i relativi effetti nella resa delle fotografie, sono ricorrenti ma non assurgono a paradigmi inviolabili, sicché entro limiti ponderati Sortini si riserva la libertà di introdurre delle variazioni. L’altezza del punto di vista è quasi sempre quella dell’osservatore dal piano-strada, la luce è quasi sempre morbida e diffusa, i colori quasi sempre tenui, l’esposizione quasi sempre un tantino elevata, gli scenari quasi sempre privi di figure umane; caratteristiche assolutamente inderogabili sono invece l’ortogonalità del taglio e la fissità della scena, ovvero la totale assenza sia di linee cadenti che di soggetti o oggetti mossi. All’opposto, vi sono entità che l’autore sceglie volta a volta di comprendere oppure no entro i margini del fotogramma, con esiti ragguardevoli sul valore documentale dell’immagine: si tratta perlopiù di quegli strumenti momentanei di servizio – come indicatori segnaletici, divisori stradali, dispositivi elettrici e soprattutto automobili – la cui presenza è giocoforza destinata a marcare l’attualità della ripresa. Sortini è spinto evidentemente dall’intenzione di concepire, scovare, delineare e mostrare da una parte la ciclica consonanza funzionale tra luoghi storicamente e geograficamente distanti, dall’altra un plausibile perfetto equilibrio tra l’unicità degli specifici caratteri architettonici locali e la pluralità dei fattori strutturali universalmente somiglianti in quanto dovuti a comuni e sovente provvisorie esigenze contemporanee. Una via di Matera e una di Zagabria sono percettibilmente discordi – per i materiali, le fattezze e i colori di tetti, muri, finestre, selciato – tuttavia, se inquadrate secondo un’analoga posizione dell’osservatore che renda affini le fughe prospettiche, è immediato coglierne l’identità intrinseca. D’altro canto, panoramiche su scorci classici di Trieste, Siviglia o Ischia sono composte per esaltare la riconoscibile originalità di tali centri; mentre vedute di fabbricati in quartieri recenti di Salerno, Torino, Potenza o Berlino appaiono collocabili, per chi non ne abbia una cognizione diretta, in una qualsiasi di queste o di altre città. E’ istintivo, davanti al work in progress avviato e condotto dallo sguardo sagace e infaticabile di Franco Sortini, il richiamo ai criteri ispiratori e agli esiti tangibili propri della Scuola di Düsseldorf: per l’ambizione costante a osservare i luoghi mantenendosi in ammirevole bilico tra distanza imparziale e partecipazione emotiva, ma anche per la condivisione di quell’intimo stato d’animo che con olimpica consapevolezza faceva dichiarare a Bernd e Hilla Becher “Non siamo in grado di terminare il nostro lavoro, dal momento che è infinito”.

Franco Sortini's photographic research takes place within the urban and suburban areas of Italy and other European countries, and focuses methodically on the elaboration of objective views of the agglomerations and infrastructures that determine the looks and the inner mechanics of such areas. Buildings, roads, public facilities, construction sites; places to live in, walk through, use, renovate: not only the inimitable areas of ancient city centres, but also the suburban ones that tend to be aseptic and standardized, where the landscape is defined by mostly ephemeral and globally adopted elements based on standard forms. And yet objectivity is never absolute: the decision on what to see, how to see it and how to show it is the result of a careful personal reasearch; some procedural traits, as well as their effects on the rendering of the photographs, are undoubtably recurrent but they don't become inviolable paradigms, so within certain well pondered limits Sortini reserves himself the freedom to introduce variations. The point of view is almost always at the height of an observer standing at ground level, the lighting is almost always soft and diffused, the colours almost always subdued, the exposure almost always a little extended, the scenarios almost always devoid of human figures; absolutely mandatory characteristics of his photography are, however, the squareness of the frame and the stillness of the scene, the complete absence both of falling lines and of people or things in motion. Conversely, there are entities that the author chooses from time to time to include or exclude from the margins of the frame, with remarkable results regarding the documentary value of the image: they are mostly those temporary instruments of utility – like road signs, road dividers, electrical devices and, above all, cars - whose presence clearly defines the actuality of the shoot. Sortini is obviously driven by the intention to conceive, discover, define and show on the one hand the cyclical functional harmony between historically and geographically distant places, and on the other a plausible perfect balance between the uniqueness of the specific local architectural features and the plurality of universally similar structural factors as due to common and often interim contemporary needs. A street in Matera and one in Zagreb are perceptibly discordant – different building materials, the forms and colours of the roofs, walls, windows, cobblestones - however, if they are framed according to a similar position of the observer, one that assimilates the vanishing points, you immediately grasp the intrinsic identity. On the other hand, the panoramic views of classical glimpses of Trieste, Seville or Ischia are made to enhance the recognisable originality of those locations; while the views of buildings in recently built neighbourhoods of Salerno, Turin, Potenza or Berlin could be placed, unless you share a direct knowledge of them, in any of these or indeed any other city. Instinctively, observing the work in progress that Franco Sortini has begun and carried on thanks to his clever and tireless way of looking at the cityscape, one must recall the guiding criteria and the tangible outcomes of the Düsseldorf School: the ambition to constantly observe places whilst remaining in an admirable equilibrium between an impartial distance and an emotional involvement, but also for sharing that intimate mood which led Bernd and Hilla Becher to declare with Olympian awareness that "we are not able to finish our work, since it is endless."

  

Valentina Isceri   Un atto di lealtà   An act of honesty

La ricerca territoriale o, più estesamente, paesaggistica condotta attraverso la fotografia ha il carattere di traduzione di un dato luogo e la sua credibilità come strumento di conoscenza dipende sicuramente dal dispositivo di ripresa e dalla capacità di colui che inquadra e scatta l’immagine, in altre parole dalla tecnica. Questo approccio, abbastanza contemplativo, sintetizza un atteggiamento comunemente adottato dai cosiddetti fotografi di paesaggio, ovvero un tipo di metodo utilizzato dalla maggior parte degli stessi e che rende comprensibile quanto l'utilizzo dei lunghi tempi di esposizione così come attraversare con lentezza, preferibilmente a piedi, il territorio sottoposto all'osservazione sia così fortemente convincente da costituire oramai un'ampia letteratura sul tema. La messa a punto di un reportage di paesaggio specifica e chiarisce dunque l’identità visiva dello stesso paesaggio che ha quindi, attraverso il medium fotografico, contribuito a definire i caratteri visivi ma non solo, anche e soprattutto quell’insieme di direttrici estetiche, storiche e sociologiche che inevitabilmente si traducono nella personalità che ogni autore attribuisce al sito indagato. L’operazione di Franco Sortini, fotografo principalmente delle città, alle quali attribuisce una forte connotazione d’anonimia, è quello di formare un affresco contemporaneo di più nazioni, la cui natura non può che essere mutevole e molteplice nel tempo, ma qui congelata in uno stato di permanenza in stile pittorialista. Coloro che si misurano col tema del paesaggio, ivi compreso lo stesso Sortini, spesso lo introducono in termini polisemici: di quale paesaggio parliamo? Urbano, periferico, noto o disconosciuto? Qui, così come cita Camus, come rendere l'immagine di queste città, senza piccioni, senza alberi e senza giardini, dove non si incontrano né battiti d ’ali, né fruscii di foglie, un luogo neutro insomma? Il luogo “imparziale” di questo volume comprende quindi un intero orizzonte semantico dove la città “storica” è di per se una risorsa fruibile sia nelle sue componenti oggettive che in quelle volutamente astratte e il valore della fotografia può essere nel primo caso rappresentazione del paesaggio mantenendo un approccio puramente documentario, nel secondo una ricca occasione per una rivisitazione di scenari intimi che l’autore lega strettamente a sé. Nelle immagini fotografiche, ricordando Barthes, è custodita la vita di qualcuno, che viene offerta al pubblico secondo un alfabeto visivo unico e personale e dove l’atto del fotografare prescinde l’esistente. E’ infatti di fondamentale importanza il background culturale del fotografo nella determinazione del valore interpretativo della fotografia eseguita. La citypedia estetica de Un Luogo Neutro è un'ode fotografica sotto forma di dedica alla città, o meglio alle città d'Italia e d’Europa, e una benedizione apostolica e tutta decadentistica nel segno tangibile della diversità. La promenada, prima meridionalista - tributo alle proprie origini - poi italiana e sempre più mitteleuropea, non cade nella trappola dell'ovvio o dell'artefatto né riproduce continuamente nuove declinazioni delle retoriche che giocano su polarità estetiche quali mainstream-underground, sperimentale-tradizionale, internazionale-locale. Un Luogo Neutro è un album solenne che vuole proporre un'alternativa di paesaggio urbano semiperiferico rispetto a tutte quelle produzioni prolifere di paesaggi – cartolina colonizzati dall'occhio vorace di passanti ameni. S'odono, dunque, i passi nei luminosi misteri delle città semidesertiche e chiuse, la cui apertura è resa possibile solo grazie alla sovraesposta registrazione della macchina da presa nelle abbaglianti ore primaverili. Nella solitaria pace, senza l'incontro di pellegrini arrivanti e sguardi onnivori di turisti, Sortini lascia il segno dell'Italia grande e antica, di Matera e Taranto, di Capua, di Siena e Trieste, delle capitali mediterranee dalla straordinaria bellezza, dei monumenti e delle architetture decadenti e moderne, delle geometrie teutoniche e dei siti archeologici di Zagabria con la stessa vocazione baudelairiana pigra e priva di urgenze propria dei passeggiatori calmi di tanta letteratura francese. La geografia sortiniana quindi esplora a fondo sia la dimensione oggettiva e materiale dei luoghi - l’insieme degli elementi fisici - sia quella soggettiva e immateriale – la sfera dei significati. Ma la radicalità del progetto si situa nella configurazione di nuovi rapporti tra geometrie e luci, un metodo compositivo peculiare dell'ultima fotografia che esilia per sempre il soggetto umano, come in questo caso, o ne fa un sostrato di legittimazione così profondo da divenirne un contrassegno. Questo lessico, ormai divenuto familiare, fa di Sortini il famoso botanico da marciapiede ovvero il conoscitore analitico di certo tessuto urbano con l'atteggiamento umorale del flâneur in cui l'estetizzazione del territorio è un reticolo indipendente e dove la città qui raffigurata sostiene tutta la propria legittimità e vitalità fin quando riesce ad apparire armonica e sincera. Un atto di lealtà rispetto alle finzioni spettacolarizzanti e contemporanee delle arti figurative. Soprattutto, nella visione di questo volume, vi accorgerete di quanto questa geografia che procede per immagini vi ponga dinanzi a una vista serena, a un ginepraio di luoghi neutri sì, ma inaspettatamente docili e concilianti. Forse la sobrietà del luogo neutro sta proprio nel trascendere le coordinate del tempo e della storia per svelarsi così com’è: immortale e platonico.

The study of a territory or, more extensively, of a landscape conducted through the medium of photography has the character of a translation of such a place; and its credibility as an instrument of understanding certainly depends on the recording device and the ability of the operator that frames and shoots the image, in other words the technique. This truly contemplative approach summarizes an attitude commonly adopted by so-called landscape photographers. This is the method used by most of them and one understands how the use of long exposure times as well as meditatively exploring, preferably on foot , the territory under observation is so convincing that it now forms an extensive literature of its own on the subject. The development of a landscape reportage specifies and clarifies therefore the visual identity of that same landscape that then, through the medium of photography, not only helps define the visual characters but above all that set of aesthetic, historical and sociological guides that inevitably translate into the personality that every author attributes to the site being investigated. Franco Sortini's task, in being primarily a photographer of cityscapes to which he gives a strong connotation of anonymity, is to paint a fresco of many nations, the nature of which can only be changeable and varied over time, but are here frozen into a state of permanence in a pictorial style. Those that measure themselves with the landscape theme, including the Sortini, often introduce such a theme into polysemic terms: of which landscape are we talking about? An urban/suburban, a known/unknown landscape? Here, like Camus is quoted, how to conjure up a picture, for instance, of a town without pigeons, without any trees or gardens, where you never hear the beat of wings or the rustle of leaves, a thoroughly neutral place, in short? This volume's "unbiased" place thus includes an entire semantic horizon where the “historical” city is itself a resource usable both in its objective components and in its deliberately abstract components and the value of the photograph can be in the first case the representation of the landscape maintaining a purely documentary approach, whilst in the second case it is a rich opportunity for the revisiting of intimate scenes that the artist ties tightly to himself. Photographic images, we must remember Barthes, contain someone's life, a life that is offered to the public in a unique and personal visual alphabet and where the act of photographing is independent of what exists. The photographer's cultural background is in fact of crucial importance in determining the value of interpretation of the photography performed. The aesthetic citypaedia of A Neutral Place is an ode in photographic form, dedicated to the city, or rather to the cities of Italy and Europe, an apostolic blessing and wholly decadent in the tangible sign of diversity. This leisurely stroll, initially Southern Italian – a tribute to his roots - then Italian and finally increasingly Central European, does not fall into the trap of the obvious or of the constructed nor does it repeat continuously new variations of those rhetoric that play on aesthetic polarities such as mainstream-underground, experimental-traditional, international-local. A Neutral Place is a solemn album that wants to propose an alternative semisuburbial cityscape to the proliferation of postcard-like landscapes dominated by the voracious eye of feckless passers-by. What we then hear are, the footsteps in the enlightened mysteries of the almost empty and boarded-up city, the opening of which is made possible only thanks to the overexposure of the camera in those dazzling hours of spring. In solitary peace, without encountering arriving pilgrims and the omnivorous stares of tourists, Sortini leaves the mark of the greatest and oldest manifestations of Italy: Matera and Taranto, Capua, Siena and Trieste, those Mediterranean capitals of extraordinary beauty, and their monuments and their decadent and modern architectures, the Teutonic geometries and the archaeological sites of Zagreb in the same manner of a Baudelairian vocation, lazily and without urgency just like the flâneurs of so much of French literature. Sortinian geography therefore explores in depth both the objective and material dimension of these places - the set of physical elements - and the subjective and intangible dimension - the sphere of meanings. But the radical nature of this project lies in the configuration of new relationships between geometries and lights, a singular method of composition of the last photograph that banishes forever the human subject, as in this case, or makes a substratum of legitimacy so deep as to become a mere label. This lexicon, which has become familiar, turns Sortini into the famous botanist of the sidewalk or rather the analytical expert of a certain urban fabric with the humoral attitude of the flâneur for whom the aesthetization of the territory is an independent network and where the city depicted here supports all its legitimacy and vitality until it is able to appear harmonic and sincere. An act of honesty with respect to those spectacular and contemporary works of fiction of the performing arts. Especially, in perusing this book, you will realize how often this geography that proceeds through images, puts you in front of a serene view, in a thicket of neutral places, that are unexpectedly docile and conciliatory. Perhaps the sobriety of the neutral place lies in transcending the coordinates of time and history to reveal itself for what it is: immortal and platonic.